IL DIBATTITO. La lista universitaria «Studenti per» ha messo intorno a un tavolo Anania, Barzellotti, Amato e D'Andrea La riforma divide gli avvocati: per i giovani è come il fumo negli occhi, gli affermati invece l'aspettano in grazia.
Brescia. La riforma dell'accesso alla professione divide gli avvocati. Quelli affermati l'aspettano in grazia, i giovani la vedono come il fumo negli occhi. Gli uni le affidano il compito di sfoltire la categoria selezionando i migliori, gli altri ribattono che il problema italiano non sono i troppi avvocati, ma il fatto che molti siano emarginati, e con le nuove regole saranno ancora più esclusi.La lista universitaria «Studenti per» (ex Studenti democratici) ieri li ha messi a confronto nella sala Piamarta di via San Faustino. Intorno al tavolo si sono seduti Giovanni Anania, vicepresidente nazionale Agl (l'Associazione dei giovani legali), il presidente dell'Ordine bresciano Vanni Barzellotti, la docente di diritto privato comparato Cristina Amato e il costituzionalista Antonio D'Andrea.
LA RIFORMA PROPOSTA dal senatore Pdl Mugnai, sulla base di un testo del Consiglio nazionale forense, prevede che per iscriversi all'albo dei praticanti non bisogna avere più di 40 anni e si devono superare un test d'ingresso e un test finale dopo i due anni. Nello stesso tempo si deve frequentare un corso (a pagamento) di almeno 250 ore in scuole organizzate dagli Ordini forensi. La riforma cancella di fatto il patrocinio legale autonomo, e una volta ottenuto il certificato di avvenuto praticantato permette di sostenere l'esame di Stato nelle tre sessioni successive. Se in questo periodo (cinque anni) non si riuscirà a superare, bisognerà rifare il praticantato. La prova scritta si svolgerà con il solo aiuto dei testi di legge, senza commenti e citazioni giurisprudenziali. E una volta iscritti all'albo, per restarci bisognerà provare che si esercita per davvero, secondo criteri di reddito fissati dall'Ordine.
Brescia. La riforma dell'accesso alla professione divide gli avvocati. Quelli affermati l'aspettano in grazia, i giovani la vedono come il fumo negli occhi. Gli uni le affidano il compito di sfoltire la categoria selezionando i migliori, gli altri ribattono che il problema italiano non sono i troppi avvocati, ma il fatto che molti siano emarginati, e con le nuove regole saranno ancora più esclusi.La lista universitaria «Studenti per» (ex Studenti democratici) ieri li ha messi a confronto nella sala Piamarta di via San Faustino. Intorno al tavolo si sono seduti Giovanni Anania, vicepresidente nazionale Agl (l'Associazione dei giovani legali), il presidente dell'Ordine bresciano Vanni Barzellotti, la docente di diritto privato comparato Cristina Amato e il costituzionalista Antonio D'Andrea.
LA RIFORMA PROPOSTA dal senatore Pdl Mugnai, sulla base di un testo del Consiglio nazionale forense, prevede che per iscriversi all'albo dei praticanti non bisogna avere più di 40 anni e si devono superare un test d'ingresso e un test finale dopo i due anni. Nello stesso tempo si deve frequentare un corso (a pagamento) di almeno 250 ore in scuole organizzate dagli Ordini forensi. La riforma cancella di fatto il patrocinio legale autonomo, e una volta ottenuto il certificato di avvenuto praticantato permette di sostenere l'esame di Stato nelle tre sessioni successive. Se in questo periodo (cinque anni) non si riuscirà a superare, bisognerà rifare il praticantato. La prova scritta si svolgerà con il solo aiuto dei testi di legge, senza commenti e citazioni giurisprudenziali. E una volta iscritti all'albo, per restarci bisognerà provare che si esercita per davvero, secondo criteri di reddito fissati dall'Ordine.
TUTTO QUESTO non va per niente bene ai giovani. «Questa riforma scatena una battaglia di retroguardia - dice Anania -, il problema del declino dell'avvocatura non è legato al numero degli avvocati, ma all'emarginazione dei piccoli e medi dal mondo dell'impresa e del lavoro». E se l'avvocatura pensa di risolvere il problema del declino restringendo l'accesso «sbaglia strada», sostiene il vicepresidente Agl. La soluzione, per lui, sta «nella riforma del percorso formativo a partire dall'università, in modo da avere una selezione naturale».Giurisprudenza resta tra le poche facoltà ad accesso libero - ricorda -, e le «lauree brevi sono fallite perché non davano accesso ad alcun concorso». Bisognerebbe ripartire da lì.
MA PER GLI «ANZIANI» i praticanti restano tanti. A Brescia su 2.149 avvocati ce ne sono 1.247 (933 semplici e 314 abilitati), a Milano 15mila circa su 30mila. «La situazione attuale nei tempi e modi di accesso alla professione è insostenibile perché non garantisce serietà al praticantato, che sfugge a un efficace controllo da parte degli Ordini», dice Vanni Barzellotti.E a chi parla invece di corporativismo, il presidente dell'Ordine degli avvocati di Brescia ribatte che «l'opinione che l'Ordine sia una casta è da cestinare. Tant'è che la riforma rende più difficile l'accesso, ma è democratica, tende a selezionare i più capaci e non i più socialmente facilitati».La docente di diritto comparato Cristina Amato, dal canto suo, si pone nel mezzo. Se da un lato accetta l'idea della selezione, che «si muove nel solco dell'Europa», dall'altro definisce tutto il resto «sconclusionato, irrazionale, classista e costoso».
DURO D'ANDREA: «Si tratta di un disegno di legge costruito sulle esigenze dell'Ordine degli avvocati - dice -, e spinge a chiedersi quale sia il senso della laurea in Giurisprudenza. se persino per l'accesso al tirocinio occorre un test». E «se la formazione è affidata all'ordine - aggiunge -, si chiudano almeno le scuole forensi e si riveda il sistema Giustizia-Università».
MA PER GLI «ANZIANI» i praticanti restano tanti. A Brescia su 2.149 avvocati ce ne sono 1.247 (933 semplici e 314 abilitati), a Milano 15mila circa su 30mila. «La situazione attuale nei tempi e modi di accesso alla professione è insostenibile perché non garantisce serietà al praticantato, che sfugge a un efficace controllo da parte degli Ordini», dice Vanni Barzellotti.E a chi parla invece di corporativismo, il presidente dell'Ordine degli avvocati di Brescia ribatte che «l'opinione che l'Ordine sia una casta è da cestinare. Tant'è che la riforma rende più difficile l'accesso, ma è democratica, tende a selezionare i più capaci e non i più socialmente facilitati».La docente di diritto comparato Cristina Amato, dal canto suo, si pone nel mezzo. Se da un lato accetta l'idea della selezione, che «si muove nel solco dell'Europa», dall'altro definisce tutto il resto «sconclusionato, irrazionale, classista e costoso».
DURO D'ANDREA: «Si tratta di un disegno di legge costruito sulle esigenze dell'Ordine degli avvocati - dice -, e spinge a chiedersi quale sia il senso della laurea in Giurisprudenza. se persino per l'accesso al tirocinio occorre un test». E «se la formazione è affidata all'ordine - aggiunge -, si chiudano almeno le scuole forensi e si riveda il sistema Giustizia-Università».
Mimmo Varone - Brescia Oggi